Sorpresa sincera da parte di qualche milione di italiani quando, ieri sera, Andrea Bocelli ha concluso il suo Concerto al Colosseo con la negletta canzone Inno a Roma, da tempo rimossa dai palinsesti della memoria italiana, in quanto “canzone fascista”. Che poi fascista non era, giacché fu presentata nel 1919: Fausto Salvatori l’aveva scritta inspirandosi al Carmen saeculare di Orazio, che l’aveva scritta come inno corale sacro per esaltare il destino eterno nonché egemonico di Roma. Nel 1919 il sindaco di Roma Prospero Colonna pregò Puccini di musicarlo, cosa che lui fece in quattro giorni, ma piuttosto malvolentieri, a quanto riportano le cronache dell’epoca. Comunque il brano fu un successo e Puccini e Salvatori ricevettero encomi e orologi d’oro. Però Inno a Roma divenne subito fascista, per desiderio dello stesso Mussolini: veniva suonato in tutte le manifestazioni ufficiali ed era nelle varie raccolte di “Canzoni del fascismo” pubblicate durante il Ventennio. Per questo dopo la guerra civile ci fu in Italia una delle solite damnatio memoriae, e non venne mai più eseguita pubblicamente né tanto meno istituzionalmente. Fino a ieri sera. Già, perché dal dopoguerra a oggi solo il Movimento Sociale Italiano utilizzò l’Inno a Roma come vero e proprio inno ufficiale: a tutti i comizi di Giorgio Almirante. Per tutti coloro che hanno fatto gli anni di piombo, sentire l’Inno a Roma alla Rai, cantato addirittura da una star come Bocelli, ha fatto fare un salto emotivo: ci si rivedeva, ragazzi pieni di speranza, defluire dalla piazza del Popolo gremita, su queste note di speranza e gioiose, ancora inebriati dalla parole di Giorgio Almirante, che rappresentavano esattamente il nostro sentire: lotta al sistema, lotta alla partitocrazia, al pentapartito, alla violenza, libertà di espressione per tutti, giustizia equanime, sindacalismo rivoluzionario, corporativismo e tanti altri sogni ormai sfumati. Ma ci sentivamo più forti, più entusiasti, pronti di nuovo a lottare per le nostre idee. E anche all’inizio di ogni Congresso nazionale del Msi, veniva suonato l’Inno a Roma. Ed è emblematico che proprio nei giorni in cui la liberticida e incostituzionale legge-Fiano viene approvata alla Camera, il Concerto al Colosseo venga concluso a uno dei nostri più grandi interpreti, con una canzone-simbolo di un certo modo di intendere la vita e la politica. Non sappiamo il perché di questa scelta, di perché la conventio ad excludendum sia finita, ma vuol dire che c’è ancora una speranza per la pacificazione in questa nazione. Quel “Sole che sorgi” è certamente più bello e toccante del mediocre Inno di Mameli. Ma era un inno fascista e quindi, Puccini o non Puccini, il regime ha fatto in modo da dimenticarne l’esistenza. (Il Secolo D’Italia) SOTTO LA PETIZIONE