Il 13 maggio Stevie Wonder compie 70 anni. La sua carriera ne ha 59, visto che il primo contratto lo ha firmato a 11 anni. Con la Motown, la casa discografica di Detroit che inventò “The Sound Of Young America”. Non c’è dubbio che si tratti di uno di quei personaggi per cui non c’è alcun timore nell’usare la parola genio, per la sua precocità, per il talento compositivo, per l’originalità, per le doti vocali, per il modo in cui ha innovato la musica Black e Pop in generale attraverso la commistione di generi e l’elettronica, per la capacità straordinaria di creare un sound unico e imitatissimo, per l’essere diventato un’icona della lotta per i diritti dei neri americani, della Pace e della solidarietà per l’Africa, per essere un modello per la comunità Black di artista consapevole e in grado di avere il controllo sulla sua musica.
Complici anche problemi di salute, da un punto di vista artistico la sua maturità anagrafica non è paragonabile a quanto prodotto nei suoi anni d’oro, dove ha inanellato una serie di capolavori che hanno fatto la storia. Stevland Hardaway Morris è nato a Saginaw in Michigan: nato prematuro, a causa, pare, dell’ossigeno arricchito dell’incubatrice ha contratto una retinopatia che lo ha reso cieco.
La sua fortuna è stata il trasferimento a Detroit della madre: qui a 11 anni fa ascoltare una sua canzone a Ronnie White dei Miracles che lo porta alla Motown: Barry Gordy, il padre padrone della casa discografica, gli offre subito un contratto di cinque anni. E’ qui che Stevland Hardaway Morris diventa “Little” Stevie Wonder: il ragazzino viene adottato dai meravigliosi “Funk Brothers”, la band che ha registrato tutti il più celebre repertorio della Motown. I suoi maestri di vita e di musica sono delle leggende: il genio precoce non poteva trovare palestra migliore, visto che in quello scantinato che ha prodotto una serie inarrivabile di successi e classici, si suonava e registrava di continuo. Gli aneddoti sulla vita del ragazzino nella “Snake Pit”, la tana del serpente, come veniva chiamato lo studio, sono irresistibili. L’annuncio del genio è folgorante: a 13 anni va primo in classifica con “Fingertips”, un’improvvisazione live di armonica. Ancora oggi è il più giovane artista ad aver raggiunto la cima della hit parade.
Ripercorrere la sua carriera vuol dire mettere le mani in un repertorio impressionante fatto di canzoni che sono parte integrante della vita popolare, “Superstition”, “For Once in My Life”, “Isn’t She Lovely”, “Master Blaster”, “Overjoyed” per citare solo qualche titolo. Attorno a questa serie di titoli ci sono però anche alcuni tra gli album più importanti di sempre, “Talking Book”, “Innervision”, “Songs In The Key of Life”. Più che i cento milioni di copie vendute, i Grammy (25, insieme a Sinatra è l’unico ad averne vinto tre consecutivi per i suoi album), l’elenco infinito delle collaborazioni, “We Are The World”, le tante canzoni di successo, vale la pena segnalare la straordinaria capacità di Stevie Wonder di avere un suono: impossibile non riconoscerlo quando canta, quando suona l’armonica (chi non ricorda l’armonica di “There Must Be An Angel”?), quando suona la tastiera o il pianoforte, perfino quando suona la batteria.
Oggi è qualcosa di più di un artista: è un patrimonio dell’umanità, un uomo che ha creato un mondo musicale, che è riuscito ad entrare nella vita della gente, che può permettersi di guardare al suo 70/o compleanno con la serenità di chi ha trasformato il suo genio in un messaggio universale, senza mai dimenticare l’impegno. Non è difficile immaginare che saranno tanti tra i grandi e i grandissimi che faranno a gara ad augurargli “Happy Birthday”, come lui fece con Martin Luther King.