Insomma accade che oggi il ricordo del passato si intreccia ”in modo eccessivo con il presente”, secondo Paolo Mieli e questo, a suo avviso, crea ”un aggrovigliamento tra passato e presente che ci intossica. E ci impedisce di porre dei punti fermi che consentano, all’occorrenza, di voltare pagina. Per questo dovremmo tenere meglio separati il passato e il presente. E far si che tutto quel che scopriamo (o ci sembra di scoprire) del passato non sia immediatamente inghiottito dal caos delle nostre ‘menti impegnate”. E’ la premessa, direi quasi sorprendente, da cui parte il nuovo libro di Mieli, ‘La terapia dell’oblio”, in cui l’autore vuole porre un freno agli ”eccessi di memoria”. Dico sorprendente perché che un fine storico, un giornalista che ha fatto dell’approfondimento il suo faro, non ci si aspetta che a un certo punto abbracci la linea dell’oblio. Ma quello a cui tende Mieli è un fine alto nel disordine della memoria, di cui molti forse sembrano approfittare per aumentare l’incertezza, dell’oggi.
Poi sfogliando il libro ci si rende in qualche modo conto che quella di Mieli è nella sostanza una provocazione, perché nei brevi e densi saggi che lo compongono va al contrario, a riportare alla luce particolari, aspetti, personaggi, opere, vicende con cui la storia è stata a dir poco inclemente dimenticandoli o ammantandoli di significati che non avevano.
Ritroviamo un Giovanni XXIII che è non è per niente Angelo Roncalli, ma un papa del 1410 che fu un antipapa, oppure si rende giustizia alla figura di Caracalla, o ancora a Baruch Spinoza, filosofo condannato all’eresia, scomunicato ed emarginato dalla comunità ebraica, fino alla morte in povertà e solitudine avvenuta a soli 44 anni, nonostante la sua mite esistenza. Si ritrovano tra le pagine della letteratura dedicate alle epidemie, da tutti frequentate in tempi di Pandemia, le figure degli untori, la loro storia, le persecuzioni, le ossessioni e il modo in cui la scienza ne ha superato il mito negativo.
E infine le pagine su Auschwitz dove dimenticare ha significato un necessario rito di passaggio per tornare a vivere. Pagine straordinarie queste di Mieli su campo di concentramento, perché ne racconta tutta la storia, dal primo all’ultimo giorno, svelando aspetti sconosciuti, rivolte, fughe, mansioni, atrocità. ”Nessun archivio esistente può crescere proporzionalmente all’aumento della complessità del mondo e, di conseguenza, della quantità di informazioni disponibile”.
Quindi, per Mieli, ”Noi la chiamiamo memoria ma quanto accade non è altro che un grande caos”. Allora eliminiamo il superfluo per fare meglio luce. (ANSA).