Ci siamo detti così tante volte che dopo la pandemia saremmo stati migliori che oramai non ci crede più nessuno, eppure se c’è una cosa che forse da tutto questo ha tratto beneficio è il nostro rapporto con gli animali e la natura, in quello che forse era il primo momento della storia degli esseri umani in cui sembrava arrivato finalmente al nodo un conflitto che ci trasciniamo da millenni. Insomma se in principio furono gli antichi Romani e le loro crudeltà, morte e sangue di ‘fere’ come intrattenimento ad oggi con tutto l’amore che ci hanno dato nel chiuso delle nostre case e nella meraviglia di vederli riconquistare le strade delle città con la fierezza che li contraddistingue, forse potremmo cominciare a capire che bisogna lasciarli vivere in pace.
Pensando agli animali, confesso, mi viene spesso in mente la storia della schiavitù, quando esseri umani ne sottomettevano altri appropriandosi della loro vita in nome di una presunta superiorità. Questa è la meravigliosa storia che racconta Maurizio Quilici, con la sua consueta capacità di coniugare sapienza a divulgazione, in ”Non togliete la gioia agli animali”. La prima delle ”colpe” che hanno condannato gli animali ad un vita di persecuzioni e sfruttamento, di morti violente ed esistenza di stenti, è il fatto di essere privi della prima caratteristica umana, la parola. ”Ciò che distingue l’uomo dagli animali – scrive Quilici – è la parola non il linguaggio. E certamente l’assenza di un linguaggio fondato sulla parola non significa essenza di sentimenti ed emozioni”. Che gli animali comunichino e non soltanto fra di loro si è iniziato a capire solo verso la metà del secolo scorso con certezza, e nel frattempo l’essersi distinti in modo eroico in guerra, nell’assistenza, l’essersi sacrificati con la vivisezione praticata senza pietà da vivi per il bene della scienza, non li ha aiutati a salvarsi dalla crudeltà umana.
Leonardo, ci rammenta l’autore, che per altro era vegetariano, fu tra i pochi a comprendere la sensibiltà degli esseri viventi diversi dall’uomo e a dipingerli spesso nei suoi quadri. Del resto nemmeno San Francesco era esente dal condannare a volte quegli animali che pure rispettava come esseri viventi dopo secoli in cui la morale cattolica li aveva accomunati spesso ad esseri diabolici che per questo avevano meritato processo e condanna consumata nei modi più atroci come il rogo. Questa è la storia insomma di un’umanità insensibile, egoista ed incivile, che ha messo se stessa al primo posto su un pianeta popolato da un numero infinito di specie viventi piegate ai suoi momentanei bisogni, che fossero nutritivi, evolutivi o semplicemente ludici. Questo potrebbe essere il momento di una svolta che prima di tutto deve essere filosofica e culturale perchè da Aristotele a Cartesio a Rousseau ed oltre poche sono state le eccezioni che hanno visto gli animali conquistare il posto che gli compete nella storia del pensiero umano. E il libro appunto non potrebbe non concludersi con l’oggi, con quella pandemia di Covid-19 che proprio dagli animali selvatici catturati nel loro habitat naturale violato e venduti vivi nei mercati sembra aver avuto origine. Non bastano le statue nelle piazze per celebrare l’eroismo che gli animali dimostrano da millenni serve, spiega Quilici, quel rispetto ”senza estremismi” che ci aiuterà a consegnare un pianeta ancora vivo ai nostri nipoti, anche se fosse meno ”umano” nel senso che fino ad oggi abbiamo dato a questa parola. (ANSA).