Ci sono volute più di dieci sezioni per comporre la mostra evento “Lucio Dalla.
“Anche se il tempo passa” che Bologna dedica ad uno dei suoi artisti più celebri dal 4 marzo (giorno non casuale, la nascita di Dalla, e titolo della sua canzone più celebre) al 17 luglio al Museo Civico Archeologico. Famiglia, Infanzia, Amicizie, Inizi musicali; Dalla ci racconta; Il clarinetto; Il museo Dalla; Dalla e la sua musica; Dalla e il cinema; Dalla e il teatro; Dalla e la televisione; l’Universo Dalla; Dalla e Roversi; Dalla e la sua Bologna, ma anche Dalla e Roma, Dalla e Napoli, Dalla e Milano perché quella bolognese sarà solo la prima tappa di un percorso itinerante che porterà l’esposizione anche nella Capitale dal 22 settembre all’Ara Pacis, e nel 2023, in occasione dell’ottantesimo della nascita del cantautore, nel capoluogo campano e in quello lombardo.
La mostra, ideata e organizzata da Cor e curata da Alessandro Nicosia con la Fondazione Lucio Dalla, il Comune di Bologna e il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, è una delle tante iniziative che la città dedica a uno dei suoi artisti simbolo in vista del decennale della morte, avvenuta, in Svizzera, l’1 marzo 2012. Frutto di una lunga e laboriosa ricerca, la mostra esporrà al pubblico per la prima volta molti materiali che documentano l’intero percorso umano e artistico di una delle più amate personalità italiane e internazionali, che ha lasciato un segno forte nella storia della musica e in quello della cultura in generale. Documenti, dunque, ma anche tante foto, filmati, abiti di scena e altri aspetti inediti che saranno raccolti anche in un corposo catalogo edito da Skira.
Alla presentazione dell’evento, il curatore ha ricordato come ci sia voluto un anno di lavoro e di ricerche per approdare a “scoperte incredibili, a quell’universo Dalla che restituisce un personaggio poliedrico con sfumature di tutti i tipi”: con l’uomo che affiora dalle testimonianze (quaranta circa) di gente che realmente gli è stata amica nel suo percorso artistico (da Ron a Walter Veltroni ai parenti), ma anche da quelle dei compagni di scuola, degli anni difficili del Liceo Galvani (Lucio non aveva tanta voglia di studiare, pensava già alla musica, dice Nicosia), con una pagella non proprio bellissima. E ancora, i suoi amori femminili di cui pochissimo si sa, l’avventura cinematografica ne “I sovversivi” e quella fondamentale dell’esperienza nel mondo dell’operetta cominciata quando aveva appena cinque anni. O di quando cantava in inglese pur non conoscendone una parola. Fino al 1971, vero e proprio crocevia: al Festival di Sanremo canta “4 marzo 1943” e compie il salto nella maturità artistica. Un percorso attraverso mille metri quadrati che rivela, nel decennale della morte, un Lucio Dalla a 360 gradi, il rapporto con mamma Jole e l’amore viscerale per il clarinetto (lo portava dentro al borsone persino al basket), quello per il jazz (la sua vera e grande passione) e la collaborazione fondamentale col poeta Roberto Roversi, fino all’esperienza di regista di opere liriche al Teatro Comunale di Bologna. Bologna, la città dove lo incontravi per strada, ora “spera che sia di auspicio per l’uscita dalla pandemia” dice il Sindaco, Matteo Lepore: “Un manifesto eloquente per il futuro della città Capitale della Musica Unesco, a cui affiancheremo successivamente le mostre dedicate a Roberto Roversi e a Pier Paolo Pasolini, patrimonio europeo che permetteranno a Bologna di parlare oltre i confini nazionali”.