“Lo scorso settembre, l’India registrava quasi centomila nuovi contagi al giorno. Gli ospedali erano pieni e l’economia indiana è entrata in una recessione senza precedenti. Ma quattro mesi dopo, i numeri sono precipitati. Alla fine del mese scorso, il 26 gennaio, il ministero della salute indiano ha confermato un minimo storico di circa 9.100 nuovi casi giornalieri, in un paese di quasi 1,4 miliardi di persone. È stato il conteggio giornaliero più basso in otto mesi. Il 1 febbraio l’India ha registrato circa undicimila casi. Per gli scienziati è un mistero, ma tutti si chiedono come mai la diminuzione sia stata costante da settembre, quando gli esperti sanitari si aspettavano una nuova risorgenza dei contagi”, scrive Lauren Frayer per l’emittente radiofonica statunitense National public radio. “’È la domanda da un milione di dollari. Le misure di salute pubblica stanno funzionando: i test sono aumentati, le persone si rivolgono agli ospedali più di prima e le morti sono diminuite’, osserva Genevie Fernandes, una ricercatrice di salute pubblica per il Global health governance program presso il università di Edimburgo. ‘Ma bisogna evitare di compiacersi, soprattutto perché molte parti del mondo stanno attraversando la seconda e la terza ondata. Dobbiamo stare in guardia’”. Tra i fattori esaminati dalla giornalista insieme agli esperti che ha intervistato ci sono: l’uso obbligatorio della mascherina nei luoghi pubblici imposto fin dall’inizio della pandemia; un sistema immunitario forse più forte a causa della diffusione di altre malattie infettive come la febbre dengue, la malaria, l’epatite, il tifo e il colera; il clima caldo e umido (che però è simile a quello del Brasile che sta ancora registrando una media di 50mila nuovi casi al giorno); la giovane età della popolazione (più della metà di 1,4 miliardi di abitanti ha meno di 25 anni e solo il 6 per cento ha più di 65 anni) che quindi potrebbe essere meno vulnerabile al covid-19 e avere una più alta percentuale di persone asintomatiche. Insomma, conclude Frayer, gli scienziati per ora non hanno risposte definitive: “Abbiamo tre opzioni, afferma Jishnu Das, economista della sanità presso la Georgetown university: ‘Il virus se n’è andato perché la popolazione si è comportata bene; oppure se n’è andato e basta e non tornerà più, fantastico! Oppure se n’è andato, ma non sappiamo perché e potrebbe ritornare’. È quest’ultima ipotesi che toglie il sonno ai ricercatori. Intanto gli indiani trattengono il respiro – è il caso di dirlo – in attesa di essere vaccinati”.
Le cifre ufficiali dicono che l’India ha registrato dall’inizio della pandemia 10,8 milioni di contagi, 155mila decessi e il 5 febbraio 2021 aveva 153.270 casi attivi. La campagna di vaccinazione è cominciata il 16 gennaio, e secondo Bloomberg finora sono state somministrate 4.449.552 dosi. Attualmente sono due i vaccini approvati per l’uso nel paese: il Covishield, nome locale del farmaco prodotto su licenza di Oxford-AstraZeneca, e il Covixin, prodotto nei laboratori indiani della Baharat biotech
Un aumento di 5,6 miliardi di rupie indiane (77 milioni di dollari) per il dipartimento della ricerca sanitaria, previsto dal nuovo bilancio presentato dal governo indiano il febbraio include fondi per quattro nuove istituzioni di virologia, nove nuovi laboratori per lo studio di patogeni altamente infettivi e un’istituzione nazionale per coordinare la ricerca e la sorveglianza sulle infezioni animali e umane, scrive Nature. “Attualmente, l’India ha un solo istituto nazionale specializzato in virologia, una strettoia che in passato ha causato ritardi nella conferma dei casi positivi di sars-cov-2. Gli scienziati sperano che gli investimenti miglioreranno la risposta del paese a future epidemie”.
La Danimarca e la Svezia hanno annunciato di voler introdurre un passaporto vaccinale entro l’estate, scrive il Guardian. L’idea si sta facendo strada anche negli Stati Uniti, aggiunge il New York Times. Un’idea che piace agli operatori del turismo e promossa a gennaio dal primo ministro greco per ridare fiato al turismo nel suo paese, prima di essere in parte ritrattata proprio da quest’ultimo. Come hanno scritto Alberto Alemanno e Luiza Bialasiewicz, “una tale iniziativa sembra prematura quando non avventata. Si basa su una logica fondamentalmente sbagliata, dal punto di vista giuridico, geografico e scientifico e avrebbe una serie di conseguenze imprevedibili. E invece di unire l’Europa, alleggerendo le restrizioni di spostamento, questo passaporto vaccinale non farebbe altro che creare nuove frontiere, tra persone ‘sane’ e ‘contagiose’. In primo luogo, un tale certificato si baserebbe sull’ipotesi che una volta vaccinate le persone viaggiatrici non siano più contagiose. I dati scientifici attualmente disponibili suggeriscono invece che se i vaccini sono efficaci contro la malattia del covid-19, non fermano completamente la trasmissione del virus e la rallentano soltanto. Inoltre, subordinando la libera circolazione nell’Ue alla vaccinazione, la proposta parte dal presupposto che tutti abbiano uguale accesso ai vaccini. Eppure, sappiamo bene che le cose attualmente non stanno così. Le differenze nei tempi e nei modi delle campagne di vaccinazione tra gli stati membri fanno sì che ci siano cittadini con più probabilità di essere vaccinati di altri”. Il discorso si può applicare anche al resto del mondo. Secondo le analisi di Bloomberg “attualmente nel mondo sono state somministrate 119 milioni di dosi in 67 paesi (36,7 milioni solo negli Stati Uniti), pari a circa 4,5 milioni di dosi al giorno. Di questo passo, avendo per ora sul mercato soprattutto vaccini che richiedono due somministrazioni, significa che servirebbero sette anni per vaccinare il 75 per cento della popolazione mondiale” e avvicinarla nel complesso alla cosiddetta immunità di gregge. Secondo i dati del 1 febbraio del Duke global health innovation center “gli ordini globali di vaccini ammontano a 7,2 miliardi di dosi così ripartiti: 4,2 miliardi di dosi ordinati nei paesi ad alto reddito, 1,2 miliardi di dosi ordinati da paesi a reddito medio-alto; 524 milioni di dosi ordinati da paesi a reddito medio basso; 670 milioni di dosi ordinati dai paesi a basso reddito, e 1,1 miliardi di dosi ordinati dall’iniziativa per l’equo accesso ai vaccini Covax, promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità”.
Dopo che l’amministrazione locale di Long Beach, in California, ha introdotto un aumento di paga (chiamato hero pay) di quattro dollari l’ora per i lavoratori dei negozi di alimentari che sono stati tra quelli in prima linea durante la pandemia, la catena di negozi di alimentari Kroger ha chiuso due negozi piuttosto che pagare il bonus, scrive il Washington Post.
In una lettera aperta centinaia di scienziati chiedono che i dati del genoma del sars-cov-2 siano condivisi più apertamente in modo da permettere a tutti di analizzare la diffusione delle varianti in tutto il mondo, scrive Nature. “La piattaforma più popolare di condivisione di questi dati, Gisaid, ospita attualmente più di 450mila genomi del nuovo coronavirus, ma non consente la ricondivisione pubblica delle sequenze. I ricercatori hanno invitato i loro colleghi a pubblicare i loro dati sul genoma su almeno uno dei tre database che non pongono questa restrizione: la statunitense GenBank, l’European nucleotide archive e la banca dati del dna del Giappone (Ddbj), noti collettivamente come International nucleotide sequence database collaboration.
La Nuova Zelanda a febbraio ricomincerà ad accogliere profughi e migranti, un anno dopo la chiusura delle frontiere per fermare la diffusione della pandemia da covid-19. Un gruppo di 35 profughi arriverà a febbraio, e circa altri 210 dovrebbero entrare nel paese entro il 30 giugno, hanno detto funzionari dell’immigrazione.”Con i protocolli sanitari in atto e percorsi di viaggio sicuri, siamo pronti ad accogliere piccoli gruppi di famiglie di rifugiati come residenti in questo paese, per cominciare la loro nuova vita”, ha dichiarato Fiona Whiteridge, direttrice generale per i servizi a rifugiati e migranti. Tutti gli arrivati dovranno completare un soggiorno di 14 giorni in strutture di isolamento gestite dal governo. Il governo della premier Jacinda Ardern aveva aumentato il numero di rifugiati nel paese durante il primo mandato da mille persone all’anno a 1.500, a partire dal luglio 2020. Ma gli arrivi erano stati sospesi a marzo, tranne che per un piccolo numero di casi di emergenza. La rapida risposta alla pandemia ha consentito alla Nuova Zelanda di bloccare il covid-19 al livello nazionale ed evitare l’elevato numero di infezioni e morti riscontrati in tanti altri paesi. Il 5 febbraio è stato segnalato un nuovo caso in una struttura per la quarantena destinata a chi proviene dall’estero e nessun nuovo caso locale, portando a 62 il numero totale di contagi attivi. Finora il paese ha segnalato 1.959 casi confermati e 25 morti per il coronavirus.
Un’indagine di sieroprevalenza, condotta per capire quante persone abbiano sviluppato anticorpi al sars-cov-s anche in assenza di sintomi, effettuata su 15mila persone a Tokyo nel mese di dicembre, ha mostrato che lo 0,91 per cento del campione aveva sviluppato gli anticorpi al nuovo coronavirus, rispetto a circa lo 0,1 per cento emerso in uno studio simile a giugno, secondo i dati forniti il 5 febbraio dal ministro della salute Norihisa Tamura, spiegando che questo significa che la cosiddetta immunità di gregge non è stata raggiunta (non è ancora assodato quanto tempo duri l’immunità raggiunta naturalmente dall’organismo) e che è necessario mantenere in vigore le attuali misure di contrasto alla pandemia. Lo studio ha anche mostrato un aumento dei tassi di anticorpi a Osaka e nella prefettura di Miyagi. Le infezioni segnalate in Giappone hanno registrato una tendenza al ribasso negli ultimi giorni, ma il governo ha preferito prorogare fino al 7 marzo lo stato di emergenza in dieci delle undici aree sottoposte a restrizione (tra cui Tokyo, le prefetture vicine e la città occidentale di Osaka), dato che il sistema sanitario è ancora sotto pressione nonostante il calo dei contagi. Il paese, di 126,5 milioni di abitanti, ha avuto più di 390mila casi di coronavirus e 5.832 morti, e sta cercando di frenare le infezioni in vista delle Olimpiadi che dovrebbero cominciare il 23 luglio. Il ministero della salute giapponese prevede di approvare l’uso per il vaccino della Pfizer-Biontech il 15 febbraio e di aprire due giorni dopo la campagna di vaccinazione, che riguarderà tutte le persone maggiori di 16 anni, immunizzando subito 20mila addetti del personale sanitario composto da 3,7 milioni di persone. La campagna per la popolazione in generale dovrebbe partire a luglio.
Articolo di Giovanna Chioini l’ Internazionale