Don Delillo è un maestro, uno dei più interessanti autori americani d’oggi e forse il più inquietante, proprio nel suo partire da situazioni di normalità e portarle avanti nel quotidiano facendo emergere via via un senso di minaccia, un’oppressione inquietante con la sua scrittura precisa e allusiva assieme, che ingloba la riflessione nel racconto. E’ così anche in questo suo ultimo libro, che per certi versi ci ricorda il suo ”Cosmopolis”, viaggio in auto all’alba del nuovo millennio attraverso una metropoli che diventa sempre più un inferno, giocando sul dentro (l’auto) e il fuori (Manhattan) come qui abbiamo una casa e la città all’esterno (Max: ”cosa succede là fuori?” – Diane: ”Meglio non saperlo”).
E se l’uomo dell’automobile, Eric Paker, moriva fisicamente, qua i personaggi, a cominciare dal padrone di casa Max Stenner, è come morissero dentro, si spegnessero riflessi in uno schermo nero. Siamo infatti nel 2022 (l’apocalisse è dietro l’angolo), e mentre a casa di Max e Diane si è davanti alla Tv per assistere al Super Bowl, all’improvviso la tv si oscura e si scopre presto che anche i telefonini sono morti, che è cessata del tutto ogni connettività. I due, con un altro ospite, il giovane Martin Dekker, ex allievo di Diane docente di fisica, stanno aspettando Jim e Tessa che tornano da Parigi dopo il primo viaggio post pandemia, ma questi avranno un ritardo, perché anche l’aereo, senza più collegamenti elettronici, è costretto a un atterraggio violento di fortuna in cui Jim resta ferito, anche se non gravemente. Durante quel volo Tessa aveva guardato la temperatura e citato Celsius di cui però non ricordava il nome di battesimo: ”Hai guardato sul telefonino?” le dice il marito, finché a lei torna in mente, Anders, come venuto ”fuori dal nulla. Non viene più quasi niente fuori dal nulla. Quando un elemento mancante viene fuori senza l’ausilio di alcun supporto digitale, ognuno lo annuncia all’altro con lo sguardo perso in lontananza, l’aldilà di ciò che si sapeva un tempo e che è andato smarrito”.
Siamo infatti dei ”tossicodipendenti digitali”, ognuno chiuso anche per strada nello schermo del suo smartphone, e nel momento in cui tutto questo viene a mancare, tutto si ferma, avanza il vuoto come un deserto e il caos coinvolge ogni aspetto della vita, da quella casalinga al mercato delle criptovalute.
La gente, costretta a andare a piedi, per strada si fa folla, ondeggia perduta, nascono piccole sommosse, e gli individui, i cinque personaggi di questi interni quasi teatrali di Delillo, che via via diventano sempre più monologanti, vivono un profondo smarrimento reale (”il senso dell’orientamento gravemente compromesso”) e intimo, mentre il loro io, la loro coscienza e ragione va in crisi, pensiero e linguaggio si frantumano: Diane ”si chiede come mai si trova qui e non in qualunque altra parte del mondo, a parlare francese o una sorta di creolo haitiano smozzicato”, mentre Martin ha una isolata reminiscenza, ”Prima che il sockson luccasse le dure”, criptica citazione da ”Finnegan Wake”.
”La spinta propulsiva del momento, il flusso del momento. La gente deve continuare a ripetere a se stessa di essere ancora viva” e, se Max finisce per fare una telecronaca inventata della partita seduto davanti alla tv morta, recitando anche le interruzioni pubblicitarie, come in una crisi di astinenza e un rifiuto della realtà, Martin è invece la personalizzazione di un tentativo, che si avvita sempre più su se stesso, di dare una qualche spiegazione scientifica al tutto. Dopo aver parlato di algoritmi e di vaghe colpe cinesi, riflette in particolare sullo spazio e tempo della teoria di Einstein, col sospetto che quel che vediamo, che viviamo, non corrisponda del tutto alla realtà delle cose: ”La faccia che mi guarda allo specchio non sembra la mia. Ma in fondo perché dovrebbe?”, per concludere ”Il mondo è tutto, l’individuo niente. L’abbiamo capito tutti, questo?”. E finisce tra l’altro per citare una massima attribuita a Einstein, che Delillo mette anche a epigrafe di questo suo incisivo, inquietante, intenso racconto filosofico: ”Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta si combatterà con pietre e bastoni”. (ANSA).