Una storia d’amore e di antisemitismo, nel momento in cui diventa contagioso, sullo sfondo di una nazione contraddittoria: la Romania nel decennio dal 1935 al 1945. La racconta in ‘Eugenia’ il reporter e scrittore francese Lionel Duroy che con questo romanzo, in cui la grande storia del secondo conflitto mondiale si intreccia alle vicende intime dei protagonisti, ha vinto il premio Anais Nin 2019 e venduto in Francia, dove è stato per settimane ai primi posti in classifica, 50 mila copie.
Pubblicato in Italia da Fazi editore, nella traduzione di Silvia Turato, nel Giorno della memoria 2020, il libro ci mostra lo sguardo sull’odio razziale di una donna indimenticabile e ci fa sentire le voci degli intellettuali dell’epoca, in particolare quella dello scrittore romeno Mihail Sebastian alla cui vera storia Duroy si è ispirato. E’ di lui che si innamora Eugenia, cresciuta nella raffinata e cosmopolita città universitaria romena di Iasi (conosciuta all’estero come Jassi o Jassy) dove negli anni Trenta gli ebrei cominciano a essere perseguitati e cominciano a prendere piede le correnti nazionaliste, come nel resto della Romania. Giovane studentessa di Lettere e futura giornalista, Eugenia sarà l’unica della sua famiglia a schierarsi in difesa di Mihail che la ragazza raggiungerà poi a Bucarest. Tra i due nascerà una travagliata storia d’amore, vissuta sullo sfondo di una capitale europea profondamente sconvolta dalla guerra. Invitato nel 1935 per una conferenza all’Università di Iasi, lo scrittore ebreo viene aggredito da militanti di estrema destra e per Eugenia questo è il momento della presa di coscienza della barbarie che avanza e non si arresta, fino al pogrom.
“Mi ricordai di quella specie di sollievo, e anche di liberazione, che avevo provato il giorno in cui mi ero resa conto che un ebreo poteva essere allo stesso tempo anche romeno.
Che una cosa non escludeva l’altra” dice la protagonista. E ancora: “Tornando verso casa avevo di nuovo la sensazione di irrealtà: la ragione rifiutava di ammettere quello che vedevano gli occhi: corpi abbandonati ovunque, quando solo la sera prima per quelle stesse strade si passeggiava tranquillamente”, racconta nel libro. “Eravamo – sottolinea – nel mezzo di un pogrom e nessuno riusciva a crederci” che causò la morte di 13.266.000 persone , tra cui 40 donne e 180 bambini.
Duroy, che è stato reporter per il quotidiano ‘Libération’ ed è autore di più di una decina di romanzi spesso ispirati alla sua esperienza di giornalista, in questo libro, ci offre un’accurata ricostruzione storica e , nello stesso tempo, attraverso lo sguardo di Eugenia ci fa porre gli stessi interrogativi della protagonista sull’antisemitismo.
“La famiglia nettamente scissa in due: da una parte Stefan e i nostri genitori, favorevoli alla costruzione di un muro alle nostre frontiere perchè nessuno straniero, nessun ebreo venisse più a insozzare il puro sangue romeno; dall’altra io e Andre, convinti della superiorità dell’umanità sulle nazioni, che sognavamo una vera fraternità tra i popoli che avrebbe spazzato via i patriottismi e gli egoismi, sul modello della letteratura che non conosceva frontiere – come gli uccelli” dice Eugenia che percorre a ritroso quello che ha vissuto, a partire dalla morte di Mihail il 29 maggio 1945, travolto da un camion.
“Mihail aveva trovato nella guerra una buona ragione per vivere: aspettare che finisse chiedendosi ogni mattina se la sera sarebbe stato ancora qui. Una volta tornata la pace, si è ritrovato faccia a faccia con se stesso, con ciò che chiamava la sua ‘impotenza’” spiega Eugenia determinata a non rinunciare ai suoi ideali di libertà e a comprendere l’origine del male, per poterlo combattere.