A Genova gli orchestrali del Carlo Felice hanno suonato l’Inno di Mameli sotto le finestre della prefettura. A Torino una danzatrice con i cerchi ricordava il fascino della poesia alla folla riunita davanti al palazzo della Regione.
A Firenze è toccato al primo corno del Maggio Musicale sottolineare con le note l’importanza della cultura. Ma ci sono stati anche tanti cortei arrabbiati, urla, slogan, striscioni. A Napoli persino un blocco stradale, a pochi passi dal celeberrimo teatro Mercadante.
Ad un anno dalla calata dei sipari, dopo mesi e mesi di buio, lo spettacolo che muore fa sentire forte la sua voce in tutta Italia. Invade le piazze, manifesta sotto alle prefetture, a Milano occupa i locali di un vecchio cinema, a Roma, a Palermo, a Verona organizza comizi davanti ai portoni chiusi dei teatri cittadini. Dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia la giornata nazionale della protesta sceglie comunque le parole della politica, per farsi sentire dai palazzi, per urlare al nuovo presidente del Consiglio Draghi che ci sono migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori in Italia che non ce la fanno più, che hanno bisogno di aiuti immediati (“Draghi te stamo sempre addosso, più ce chiudi e più ce paghi” scandivano dal corteo romano che è arrivato alle porte di Montecitorio).
Ristori immediati, dunque. Ma anche teatri e cinema riaperti, perché i lavoratori dello spettacolo hanno soprattutto bisogno di tornare a lavorare. “Cultura Whatever it takes” chiedevano oggi a Draghi i manifestanti romani. In piazza con loro, davanti alle colonne del Teatro dell’Opera, c’era anche il sindacato: “Bisogna riaprire le attività che rispettano le norme di sicurezza e investire”, scandiva ai microfoni il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, incitando a non sprecare l’occasione offerta dal piano di recovery europeo, “serve un investimento sulla cultura e sullo spettacolo”. La Cgil, spiegava Landini, chiede di introdurre per ogni territorio “i livelli essenziali di cultura”. “Questo è un punto di ragionamento che il nuovo governo deve fare”, argomentava il sindacalista, perché per lo spettacolo, investito “da un livello di precarietà senza precedenti” c’è un problema “di tutela del reddito, ma anche di garanzia di diritti minimi dei lavoratori”.
Tant’è, la voce del sindacato è arrivata anche a Torino, a Genova, a Bari. Insieme tante volte a quelle dei sindaci, da quello di Firenze Nardella a quello di Napoli De Magistris o quello di Verona Federico Sboarina, perché la cultura nelle città d’arte è anche una parte pesante dell’economia: “L’Arena con il Festival lirico e i concerti genera migliaia di posti di lavoro – ricordava il primo cittadino di Verona annunciando la richiesta di un incontro al ministro Franceschini – ed è uno dei motori della crescita del nostro territorio. Eppure sembra un comparto dimenticato”. “Dopo un anno siamo allo stesso punto di prima – spiegava un sindacalista nella manifestazione torinese – Si può andare nei centri commerciali e si può andare a Messa, al teatro no”.
Non mancano le critiche al ministro della cultura Franceschini, che sì, si è espresso a favore della riapertura di cinema e teatri, “ma con la Neflix della cultura incoraggia lo streaming”. Intanto nella provincia di Perugia, diventata proprio in questi giorni ‘zona rossa’, la protesta deve per forza di cose diventare virtuale, con una serie di cartelli postati sui social dei lavoratori. Anche in piena crisi però, chiedono in tutta Italia i lavoratori dello spettacolo, è possibile un cambio di passo. La cultura, invocano le piazze, “deve diventare una scelta strategica del Paese”.