Sembra il frutto di una magia, l’ultimo, sorprendente e coltissimo libro di Rita Monaldi e Francesco Sorti, autori per Solferino del “Dante di Shakespeare” (in libreria dal 4 febbraio). Una bella operazione culturale che, proprio nell’anno che celebra Dante, la coppia di scrittori (insieme anche nella vita) ha realizzato con in mente un obiettivo “folle”: mettersi “nella penna” di Shakespeare (immaginando il ritrovamento di un dramma perduto del Bardo) per rappresentare in una trilogia teatrale la vita del Sommo Poeta, intrecciandola alla Divina Commedia. In questo primo volume (qui si racconta l’Inferno, seguiranno poi Purgatorio e Paradiso entro due anni), il genio di Stratford mette in scena dunque l’infanzia e la giovinezza di Dante, tra avventure e disavventure, tradimenti, lotte, incubi e visioni. “Questo progetto è nato dalla passione più viscerale, dall’impulso di introdursi nelle vene di grandi profeti come Shakespeare e Dante per ‘completare’ la loro vita utilizzando il loro stesso sangue. Perché a Shakespeare, che ha tanto preso dalla Divina Commedia, un dramma su Dante mancava proprio. E a Dante mancava qualcuno che sapesse raccontarlo come una cosa viva, come solo Shakespeare è in grado di fare. Ad un certo punto quindi le loro strade si sono necessariamente incontrate dentro di noi”, spiegano gli autori intervistati dall’ANSA. Come vi siete preparati per un’impresa così ambiziosa? “Immergendoci fino al collo nei drammi di Shakespeare e nello sterminato campo della dantistica. La vulgata degli studi danteschi ci restituisce l’immagine di un Dante e di una Commedia quasi impossibili da rappresentare con successo. Dovevamo trarne lo spettacolo epico che ne avrebbe fatto Shakespeare, ma ben badando a mantenere l’attendibilità storica”. Quale è stata la maggiore difficoltà incontrata? “Ci siamo arrampicati come due pulci sulle vesti di Dante e Shakespeare, per scrutare lo stesso panorama che era alla loro portata. Su di loro vengono presentate pubblicazioni ogni giorno. Stare al passo con questo dialogo secolare è impresa sovrumana. Su ogni aspetto abbiamo fatto una scelta ben precisa e dato una fondata interpretazione, come spieghiamo nelle appendici finali, sciogliendo anche qualche enigma. In fase di scrittura, con la mano di Shakespeare, abbiamo fatto emergere la sagoma dei protagonisti dalla tenebra delle notizie storiche”. Grazie a questo libro riusciremo a vedere rappresentata in tv la Divina Commedia? “La Rai ha annunciato al Cda e al MIA di voler fare la serie, ed è il momento giusto: mentre la BBC da decenni esporta il suo Shakespeare in tutto il mondo, su Dante la nostra tv pubblica era ferma a un vecchio docudrama del 1965. Ma essendo adesso arrivata a capo di Rai Fiction una donna di letteratura come Maria Pia Ammirati, gli auspici sono ottimi”. Quali elementi accomunano Dante e Shakespeare? Spiritualità, predilezione per la forma teatrale, capacità di parlare all’uomo? “Tutte queste cose! Di Shakespeare colpisce il senso religioso, che non è dottrina, ma lezione morale, ammonimento, insegnamento. Allo stesso modo, Dante è uomo di teatro: la Commedia, ma è una scoperta dell’italianista Paolo De Ventura non nostra, nasce dal teatro popolare del Medioevo”. Forse un lettore esperto può cogliere meglio un testo così complesso. “Ci rivolgiamo a tutte le persone comuni. I nostri libri hanno sempre avuto più livelli di lettura. La vicenda umana di Dante è di per sé commovente: orfano in tenera età, con una malattia che lo rende socialmente indesiderabile, ma allo stesso tempo straordinariamente visionario. Non si svende mai al mainstream: in poesia è controcorrente, in politica è così idealista che si mette perfino contro il suo partito, in famiglia è la pecora nera che consuma il patrimonio per poter scrivere. Dante non è un raccomandato né un furbo, e neppure uno che ama l’aurea mediocrità. È come tantissimi italiani che se la cavano da soli.
A parte ovviamente il suo genio, che è senza uguali”. Che tipo di lavoro avete fatto sul linguaggio? Vi siete posti il problema della traduzione se il libro verrà pubblicato in altri Paesi? “Avevamo una mission impossible: amalgamare la meravigliosa libertà espressiva di Shakespeare con i versi densissimi, spigolosi, scultorei di Dante. Quando Dante parla d’amore, lo deve fare con le parole non solo di Paolo e Francesca, ma anche di Giulietta e Romeo. Quando parla di guerra, di Enrico V.
Quando degli spiriti e dell’Aldilà, con Macbeth e Amleto. È stato un lavoro immenso, perché per ogni occasione abbiamo dovuto trovare la quintessenza del pensiero shakespeariano e di quello dantesco. La traduzione per noi non è una novità. Viviamo in Austria e, dei nostri 11 libri, 8 sono stati pubblicati prima in traduzione che in italiano. In ogni pagina sentiamo anche il suono delle altre lingue”.