Un gioco di plagio, una sfida per avere, più che il controllo, la possibilità di plasmare Giorgia come è più consonante ai propri bisogni personali è la sostanza di questo romanzo, che si fa pian piano racconto della violenza psicologica dell’uomo sulla donna e comunque del come ognuno, specie nei rapporti di coppia, vorrebbe riuscire a cambiare l’altro. E la Petrucci, che vive in Australia come editor e social media manager, per raccontare tutto questo usa la metafora teatrale dell’attore e del personaggio in cerca d’autore, fissato nella verità di ciò che recita.
Giorgia e Filippo sono una coppia prigioniera e intimamente insofferente della routine cui si sono costretti, lei, che voleva fare l’attrice, cassiera in un supermercato e lui, con aspirazioni giornalistiche e di scrittura, confinato dietro il bancone del bar di famiglia, tanto da confessarsi che ”forse non lo sappiamo, ma stiamo affondando”.
Questo anche perché lei ha un passato di fragilità psichica, una madre suicida, e lui le ha costruito attorno, come difesa, questa quotidianità di apparente normalità, almeno finché non reincontra il suo maestro di recitazione, Mauro, che la riporta all’antico amore, a salire su un palcoscenico dove, nelle vesti di un personaggio, Giorgia è di eccezionale bravura e si sente in pace con se stessa, libera. La verità è che per lei il confine tra realtà e finzione è fragile e, col suo entrare in scena, finisce per saltare (c’è un tentativo reale di saltare da una finestra), con necessità di un ricovero con la diagnosi ”riduttiva” di schizofrenia paranoide.
Mauro è sicuro di sé, ha una solidità economica alle spalle che gli permette la sua vita bohemien, ha una vocazione di regista che si allarga al di là del lavoro, è intelligente e seduttivo e pian piano conquista anche Filippo, reso insicuro dagli avvenimenti. Prenderanno l’abitudine di andare assieme in clinica a trovare Giorgia, resa catatonica dai farmaci e cui Mauro legge ogni giorno quella che era la sua parte, Olivia nella ”Dodicesima notte” di Shakespeare, finché, coll’allentarsi della pressione medica, scopre che lei la recita naturalmente, come Olivia fosse lei stessa: ”interpreta un ruolo che le è stato insegnato a riconoscere come suo”. Si tratterà allora di scrivere copioni in cui la protagonista si chiami Giorgia e abbia la sua vita di prima, i suoi ricordi, per riportarla a essere se stessa. Questa intuizione del tutto romanzesca, sviluppata in modo che si abbia voglia di arrivare a vedere come andrà a finire, funziona e le permette pian piano di tornare a cominciare a vivere ma con alcuni eccessi di insicurezza, di gentilezza e onestà nel dire sempre la verità e al tempo stesso sentirsi ”senza uno scopo”. In un gioco che diventa improbabile ma cui l’autrice riesce a dare una sua intrinseca ragione narrativa, i due devono correggere il tiro, riscrivere il copione, magari facendo in modo che questo le alleggerisca il peso del passato, poi un altro, perché ogni volta vengono a galla degli squilibri, diventando lei via via più sicura, serena e desiderosa di fare l’attrice davvero e ”privata del dolore… senza traccia della paura infantile di farsi o di fare del male, è diventata un adulto”. Per Filippo però ”è come l’avessero sostituita con qualcun’altro”, non la riconosce più, è spiazzato del tutto, mentre Mauro la trova forte e assieme malleabile come l’ha sempre desiderata, una perfetta macchina teatrale, tipo la supemarionetta di Gordon Craig. Ma la morale è che per colpa loro Giorgia non si sa più chi sia in realtà, chi sia lei per sé. (ANSA).