Della sua morte, tragica e improvvisa – e in qualche modo oggi così attuale dal momento che arrivò dopo pochi giorni di “febbri acutissime” – i contemporanei parlavano con disperazione e sconcerto. Nel fiore degli anni e nel pieno del suo successo, pieno zeppo di lavoro, appena investito del compito immenso di mettere ordine nell’urbanistica romana, il 37enne Raffaello, amico stimato di artisti e letterati, di intellettuali e politici, papi e banchieri, lasciava un vuoto improvviso e lacerante nell’opulenta e indaffarata Roma rinascimentale.E proprio dal suo letto di morte, dall’affollato corteo funebre e dalla quella tomba di marmi colorati che lui stesso aveva progettato per sé all’interno del Pantheon – ricostruita qui a grandezza naturale – prende avvio il percorso a ritroso della grande mostra che da domani al 2 giugno (coronavirus permettendo) renderà omaggio al genio urbinate nei 500 anni dalla morte.
Un percorso che parte dalla scomparsa, avvenuta lo stesso giorno della nascita la sera del venerdì santo, e come in un susseguirsi di flashback illumina via via gli anni che hanno preceduto la fine, i ritratti della maturità, a partire da quello poderoso di papa Leone X, insieme a tutto lo studio dell’antico, le riflessioni sull’archeologia, i disegni – bellissimi – che qui accompagnano ogni quadro, ne raccontano la genesi, il pensiero.
Un posto centrale è per la lettera – mai spedita – che Raffaello scrisse insieme con l’amico Baldassarre Castiglione proprio a papa Leone X, uno dei suoi mecenati, con le riflessioni su come recuperare il corpo della Roma antica studiandone i resti, le ossa ormai spolpate. Un documento fondamentale, ritenuto alla base del concetto stesso di tutela del patrimonio. “Ecco anche perché era giusto portare di nuovo a Roma in questa sala il ritratto di Leone X” sottolinea il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, tornando sulla polemica per il prestito che ha provocato le dimissioni in tronco di tutto il consiglio scientifico del museo fiorentino.
Tant’è, esplosione di rossi, dopo il restauro appena concluso dall’Opificio delle Pietre Dure, quel papa singolarmente intento ad esaminare meraviglie antiquarie, sembra proprio raccontare di un’epoca carica di aspettative e di promesse. Ma è solo l’inizio: dopo la sala dedicata alla meraviglia degli arazzi, le prime stanze del piano superiore sono dedicate a due passioni di Raffaello, le donne e l’architettura.
Ad accogliere il visitatore, gli sguardi pieni di carattere della celeberrima Fornarina, che qui è affiancata all’altrettanto celebre Velata i cui colori, assai meno squillanti, risentono forse di un restauro ottocentesco. Poi c’è l’architettura, con il Palazzo Branconio dell’Aquila, “compendio di tutte le arti” come lo definisce Paolo Di Teodoro, il professore del Politecnico di Torino che ha curato questo aspetto della rassegna e che ricorda la magnificenza della cappella Chigi all’interno di Santa Maria del Popolo, ma anche Villa Madama, “un progetto che è la somma del pensiero di Raffaello architetto, pittore, scultore”.
Le sale che seguono sono abbacinanti, con capolavori in rapida successione, a partire dal ritratto di Giulio II, l’altro suo mecenate, uomo forte e volitivo che qui si mostra anziano e riflessivo, “ma dietro ogni ritratto c’è un racconto”, sottolinea lo storico dell’arte Costantino D’Orazio, che a Raffaello ha appena dedicato un volume “Raffaello, il giovane favoloso” in uscita da Skira. E’ così per Tommaso Inghirami, il cardinale strabico che Raffaello convinse facendolo posare con lo sguardo rivolto in alto, così da rendere quasi invisibile quell’evidentissimo difetto.
Da Monaco è arrivato l’incanto della Madonna Tempi, qui esposta insieme al suo cartone preparatorio, da Madrid la dolcezza della Madonna della rosa, da Washington la Madonna d’Alba. “Mai così tante opere di Raffaello tutte insieme”, sorride Schmidt. Il percorso si chiude con il Raffaello giovinetto, l’autoritratto diventato icona del pittore.
Anche questo anticipatore: “C’è già la gamma cromatica sommessa e raffinata del ritratto di Baldassarre Castiglione, che è un’opera della maturità – spiega Marzia Faietti, curatrice insieme al direttore delle Scuderie Matteo Lafranconi – La complessità è una delle chiavi di lettura per capire Raffaello, troppo spesso minimizzato come artista facile”, dice. E qui, in questo piccolo delicato ritratto, fa notare, c’è già “la consapevolezza della dignità del ruolo della pittura e dell’artista. Una consapevolezza che più avanti si tradusse in un linguaggio universale e nella sua capacità di parlare a molti se non a tutti”. Di certo anche a noi, sperando che in tanti, virus a parte, possano godere di quest’occasione. In ossequio al decreto del governo e per garantire la sicurezza di tutti, intanto, le Scuderie garantiranno entrate contingentate in ogni sala. Per questo, avvertono, è consigliata la prenotazione (ANSA)