A volte sono le contraddizioni a farci innamorare, l’insostenibile attrazione verso qualcosa di diverso, apparentemente lontano e come tale irraggiungibile, utopico quasi. Almeno momentaneamente. Forse è stato così anche per Romana Petri, la scrittrice che in tanti dei suoi romanzi ci ha abituato ad un punto di vista radicalmente femminile, e che ora dedica il suo ultimo bel racconto ad uno scrittore che sembra incarnare l’emblema della mascolinità, Jack London. E lo fa con grande passione.
La sua è una biografia romanzata, anche se tale definizione è senza dubbio riduttiva. Ha messo insomma in forma di racconto azioni e pensieri di questo scrittore vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, mettendo insieme romanticismo e contestazione. Due opposti che in lui si coniugano nella definizione e nella forma della fuga.
Giovane semianalfabeta di una famiglia poverissima anche se ricca di creatività, si distingue sin dall’adolescenza per il suo rincorrere nella vita l’aspirazione alla cultura e all’avventura. Nella consapevolezza che esperienza fisica ed esperienza intellettuale non possono che andare di pari passo, a 17 anni si imbarca su una nave che fa rotta verso il Giappone.
Come ci racconta dall’interno Romana Petri, Jack London vivrà sulla sua pelle quelle che saranno le avventure estreme, cardine della sua letteratura. L’interesse per il socialismo e la vita da vagabondo, la prigione, i viaggi sui treni merci, la caccia all’oro nel Klondike, l’Alaska, le isole selvagge dell’Oceano.
Sì ecco, l’altro straordinario elemento che fa di questo libro un romanzo da leggere di corsa in questi giorni di quarantena, è questa continua conquista degli spazi aperti vissuta profondamente in solitario.
Eppure quello che questo libro porta alla luce del Figlio del lupo, che gli dà il titolo, è proprio poi l’altra faccia di questa visione del mondo. Da una parte l’incapacità di stare veramente solo e la necessità di costellare la sua vita di rapporti amorosi, veri, presunti, o di convenienza. Dall’altra lo scrivere fondamentalmente per soldi, e poi di creare avventure da vivere per guadagnare e realizzare con quel denaro non sogni di gloria letteraria ma cose concrete, come una casa ed una fattoria.
Figlio del lupo è infatti prima di tutto un romanzo di sentimenti e di realtà, che racconta le donne amate da un uomo seducente e virile. ”Con quegli occhi di ghiaccio, la mascella sigillata, il pugno sempre più addestrato, si muoveva come un gatto rabbioso che si avvicinava solo per dare la zampata e poi balzare all’indietro”. Le sue donne, a partire dalla madre Flora, anaffettiva medium che Jack non riuscirà mai a saziare.
Mabel, la bellezza idealizzata della borghesia, mai veramente condivisa fino in fondo. Bessie, la donna bruttina ma concreta al punto da essere scelta in modo programmatico come moglie che può sopportare di stare al fianco di un uomo tanto difficile.
L’amatissima Anna, l’intellettuale troppo intellettuale e quindi in qualche modo irraggiungibile. E infine la seconda moglie, Charmian, un po’ bella e un po’ brutta, avventurosa e intellettuale quanto basta da mettere in discussione se stessa ed inventarsi ogni giorno un personaggio nuovo per colpire il suo vulcanico marito, fino all’ultimo giorno al suo fianco in qualunque avventura. Lui che però tutto sommato cercava di non mettere mai se stesso fino in fondo nei romanzi e che per questo soffrì per Martin Eden, ”troppa immedesimazione”. Seppure ”solo quando finiva di scrivere un romanzo la vita gli concedeva qualche ora di vera beatitudine”. (ANSA).