“Ogni storia, ogni libro mi scavavano dentro e poi mi riportavano alla luce come se fossi appena rinata”. Al personaggio di Maria, ragazzina a cui la miseria e la povertà non hanno tolto i sogni né il coraggio di provare a realizzarli, Salvatore Basile ha affidato nel suo nuovo romanzo “Cinquecento catenelle d’oro” (Garzanti, in libreria dal 14 aprile) il compito di celebrare il ruolo salvifico che l’immaginazione può avere nella vita di ognuno di noi. Non è un caso che, per un autore capace di coinvolgere il pubblico in una narrazione sempre avvincente (sia nei romanzi “Lo strano viaggio di un oggetto smarrito” e “La leggenda del ragazzo che credeva nel mare”, sia nelle sceneggiature di celebri lavori televisivi, da Don Matteo al Commissario Ricciardi fino a I bastardi di Pizzofalcone), il motore dell’ispirazione sia proprio la potenza delle storie, con la magia dei libri e del cinema. Anche in “Cinquecento catenelle d’oro” fin dalle prime pagine la trama spinge il lettore ad andare avanti, grazie a personaggi e ambientazioni fortemente caratterizzati. Siamo a Calandra, immaginario ma realistico paesino del sud Italia, a fine ‘800: in una terra che fa sudare ogni suo frutto, la piccola Maria ha imparato a leggere e scrivere grazie a una benefattrice che, quando muore, le regala i suoi libri. Dopo la partenza per l’America in cerca di fortuna del padre adorato, Maria resta a casa con la madre, donna rancorosa, diffidente e incapace di togliersi di dosso la sofferenza provata durante l’infanzia, e con una miseria – non solo materiale, ma anche di orizzonti – da cui sembra impossibile liberarsi. L’incontro con Domenico, aspirante fotografo, la scoperta dell’amore, ma anche le lettere paterne che raccontano di palazzi alti fino al cielo, di fotografie capaci di muoversi, di treni che corrono sullo schermo infondono nuovo coraggio alla ragazzina. Maria decide infatti di rischiare il tutto per tutto, anche di passare per pazza, pur di realizzare i propri obiettivi di libertà, emancipazione e bellezza: a salvarla sarà il cinema, luogo in cui non ci sono limiti all’immaginazione. “Due sono stati gli inneschi per questo libro: la storia di Elvira Notari, regista napoletana ai primi del ‘900, che in America ha girato 110 film e poi è morta dimenticata negli anni ’40 nel salernitano; ma anche un saggio dell’antropologo Ernesto de Martino che nel 1950 ha mostrato uno specchio agli abitanti di alcuni paesini dell’entroterra lucano scatenando in loro la meraviglia di una visione così nitida”, racconta Basile all’ANSA. Tra i cardini di questo romanzo c’è innanzitutto il cinema, “che quando è arrivato si è trasformato in un potentissimo mezzo culturale di massa per raccontare storie a chi non sa leggere, per portare cultura, storia, immaginazione. Per questo, anche se ora è in crisi, non morirà mai: è un bisogno che abbiamo e poi l’immaginazione è rivoluzionaria, solo così si cambia il mondo”, dice l’autore. E poi ci sono le donne, raccontate con forza e delicatezza, e con grande acume: “da sempre ho con il mondo femminile un rapporto profondo. Credo però che non ci sia tanta differenza tra donne e uomini, siamo tutti metà e metà, anche se noi maschi facciamo fatica ad accettare la nostra parte più sensibile, abbiamo un lessico emotivo più limitato rispetto alle donne”, prosegue, “in questo libro ci sono tante donne del mio vissuto: ricordo alcune figure delle estati trascorse nel Cilento, o le donne siciliane del paese di mia moglie, nelle Madonie, piene di durezza, diffidenza, dolore”. Anche la natura, con la sua potenza indifferente alle questioni umane, ha un ruolo importante, di veicolo di emozioni: “Calandra non esiste, ma immaginare i luoghi mi permette di renderli funzionali al romanzo: la natura, gli spazi, le ombre, anche il tempo che fa sono elementi dentro la storia”.