Di normale il Sanremo n.71 non ha avuto proprio niente. Festival della pandemia, senza pubblico, tra mascherine e distanziamento sociale fuori e dentro l’Ariston.
Ed è fuori dalla norma anche la vittoria a tutto rock dei Maneskin con il brano Zitti e buoni (prima di loro solo Enrico Ruggeri, nel 1993 con Mistero, aveva vinto con un brano rock). Tanto che gli stessi quattro ragazzi, il giorno dopo la proclamazione, fanno ancora fatica a crederci.
“Fino alla terna finale non avevano capito niente. Quando mai sonorità così dure hanno vinto? – chiedono in coro Damiano, Victoria, Ethan e Thomas, già sulla strada di casa, dopo aver dormito a malapena un paio d’ore -. Era il nostro primo festival e siamo andati con zero aspettative, eravamo consapevoli che Zitti e buoni era fuori dai canoni sanremesi ma volevamo mostrare noi stessi, la nostra identità e il percorso che abbiamo fatto fin qui. Ci ha stupito vedere la velocità con cui è stata capita, Una sorta di Atto di fede”.
Partiti dalle prime esibizioni in via del Corso a Roma, i Maneskin nel 2017 arrivarono a X Factor, lì vincitori solo morali perché si piazzarono secondi, prima di esplodere con il singolo Torna a casa. “Nessun senso di rivincita o di rivalsa, quello di X Facor è un discorso chiuso da tempo: in quattro anni siamo soddisfatti del nostro percorso – spiegano – All’inizio essere una band non è facile, si occupa troppo spazio”. Nel frattempo sono cresciuti, maturati e sono andati avanti a modo loro e lo rivendicano anche nella canzone portata al festival.
“Abbiamo avuto qualche intralcio, ma siamo andati avanti coesi.
E ora diciamo Zitti e buoni non a qualcuno in particolare, ma alle persone che ci attaccano, a chi ci vuole incasellare. Ci piace ciò che siamo e nessuno ci cambierà”, promettono, aggiungendo che “se si crede in quello che si fa, bisogna andare dritti per la proprio strada. Il festival è un inizio prestigioso, ma non cambierà il nostro percorso”.
Ieri hanno avuto la meglio su Michielin-Fedez, secondi, e su Ermal Meta, terzo. E se i primi hanno potuto contare sulla popolarità social dei Ferragnez (“di fatto è quello che hanno fatto anche le nostre famiglie, solo un po’ più in grande”), i Maneskin hanno incassato gli endorsement di gran parte del rock italiano, a partire da Vasco che nelle sue stories ha fatto il tifo per loro durante tutta la settimana. “Contentissimi, abbiamo ricevuto attestazioni di stima anche da Piero Pelù e da altri… siamo stati accolti nell’Olimpo!”, rivendicano con orgoglio. Duri, scatenati, determinati, ma hanno saputo anche mostrare il loro lato più emotivo, quando all’annuncio della vittoria si sono sciolti in abbracci stretti e pianti liberatori, Damiano in particolare. “Abbiamo avuto una reazione da drama queen – scherzano i quattro ragazzi romani -. Spesso si pensa che siamo degli automi che suonano e basta, ma siamo esseri umani come gli altri, che provano emozioni. Erano lacrime di gioia: in quel momento ci siamo resi conto che avevamo fatto qualcosa di importante. Abbiamo portato la nostra rivoluzione all’Ariston”. La dedica è “oltre che ovviamente per le nostre famiglie, per chi lavora con noi e vive con noi, e a tutti i lavoratori dello spettacolo”, anche considerando il momento difficile.
E ora? Il 19 marzo uscirà il nuovo disco dal titolo Teatro d’ira – Vol.I, poi ad aspettarli a maggio ci sarà l’Eurovision Song Contest, che spetta di diritto al vincitore di Sanremo.
“Non vediamo l’ora, siamo pronti a prenderci questa responsabilità, abbiamo le spalle larghe”. A incitarli, senza giri di parole, il collega Meta, che dall’Eurovision è passato nel 2018: “Andate lì e spaccategli il culo”. Covid permettendo, in autunno anche i primi concerti nei palasport. (ANSA).