Non era uomo di passioni. Ma di pensieri originali, di intuizioni lucide e di scelte anticonformiste. In una parola: un eretico. E questo è il ritratto di un grande scrittore del Novecento che Felice Cavallaro, giornalista del Corriere della Sera, traccia con un ricco campionario di fatti e ricordi personali nel suo libro “Sciascia l’eretico. Storie e profezie di un siciliano scomodo”, edito da Solferino . A trent’anni dalla scomparsa, le sue lezioni civili tra ragione e diritto mantengono tutta la loro forza e toccano temi cruciali della vita pubblica che appaiono ancora oggi di una bruciante attualità. Cavallaro li ripercorre tutti: dalla mafia che cambia in sintonia con i nuovi interessi criminali alla corruzione, dalle ingiustizie della giustizia al caso Moro, dal difficile rapporto con il Pci agli affilati colpi al sistema di potere della Dc, fino ai “professionisti dell’antimafia”, l’ultimo fronte polemico che Sciascia aveva aperto attirandosi attacchi astiosi e intolleranti. Ci fu anche chi lo pose “fuori dalla società civile” e chi lo definì un “quaquaraquà”, l’ultima categoria umana priva di dignità che Sciascia aveva descritto nel Giorno della civetta. Cavallaro propone una biografia intellettuale e umana di Sciascia vivificata da una conoscenza personale cominciata come vicini di casa nella campagna di contrada Noce a Racalmuto, la Regalpetra che lo scrittore amava e aveva descritto come metafora del Paese, e proseguita lungo gli itinerari del giornalismo. Tra cultura e politica tanti sono gli snodi che lo scrittore ha toccato. E tanti i rapporti intrecciati. Cavallaro ne offre una rassegna ragionata ripescando negli archivi della memoria intanto le tracce delle relazioni intellettuali e degli scambi culturali con Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino, Enzo ed Elvira Sellerio. Difficile nel caso di Sciascia tracciare un confine tra la dimensione culturale e la lettura politica della società. Il suo metro di giudizio era dato dall’autonomia dell’illuminista volterriano che cercava solo e sempre la verità. E in suo nome era pronto anche a rotture dolorose. Clamorosa quella con Renato Guttuso, che sullo sfondo del caso Moro sfiorò anche Enrico Berlinguer e chiuse il suo dialogo con il Pci così pieno di tormenti per aprire un canale con i radicali di Marco Pannella. Un approdo facilitato dal caso di Enzo Tortora che per Sciascia era diventato l’emblema dell’ingiustizia, il nervo scoperto del sistema Italia. Il libro attraversa la vita dello scrittore, ne racconta battaglie e inimicizie. Descrive l’eredità di un uomo abituato a vivere e a pensare da eretico. L’assenza della sua voce è per Cavallaro un grande vuoto: “Avremmo ancora molto bisogno di Sciascia, del suo pessimismo, del suo moralismo illuminista, del suo ragionamento, delle sue battaglie contro pupi, mezzi pupari e pupari”. (ANSA).