Le case come luoghi di memoria, luoghi che, per chi li conosce e abita, hanno una loro anima.
Andrea Bajani, in ”Il libro delle case” ci ha mostrato quest’anno come seguendo i luoghi in cui si è vissuti si può ritrovare se stessi, ora Simona Vinci con questo ”L’altra casa” costruisce una storia di compenetrazione, di simbiosi tra chi si ritrova tra le mura di una vecchia villa e ne esplora i meandri, ne accetta spazi aperti e spazi celati, abbandonandosi alle scoperte, ricostruendo e sentendone viva la storia.
Per scrivere questo romanzo più che fantastico, misterico psicologicamente, non a caso ha scelto una storica villa vera, che conosce da sempre e ha frequentato vicino a dove e vissuta, Budrio, guardandola nel tempo anche come villa archetipo della casa misteriosa della letteratura gotica. Quella nota come Villa Giacomelli, dal nome del proprietario di un tempo, il baritono Astorre Giacomelli, marito della celebre mezzosoprano Giuseppina Pasqua (1851 – 1930), artista prediletta di Verdi che quella casa frequentò. Così ecco che la nostra odierna protagonista di fantasia, Maura Veronesi, è un soprano noto che sta vivendo un momento di crisi e, dopo un’operazione alla gola, non sa se tornerà ad avere la voce di prima. In villa arriva per riposarsi e rieducare la voce, in vista della serata del suo ritorno sulla scena, dedicata alla Pasqua proprio in quel luogo dove visse e morì, secondo un’idea di Fred, impresario, agente e pure amante di Maura, avendo una moglie che non lascia. Perché non si affatichi e si eserciti le mette al fianco Ursula, una pianista russa dalla tragica infanzia e una vita segnata dal dolore, che dovrà anche accudirla, occupandosi delle sue cure mediche, della casa e della cucina. Con loro sono principalmente un anziano giardiniere custode, una architetto che periodicamente viene a verificare di quanto cedano le crepe (reali e metaforiche) nei muri della villa.
Maura, uno dei primi giorni, si ferisce a un dito che si succhia: ”il sapore del sangue le era sempre piaciuto. Da Piccola si era pure convinta di poter distinguere il sangue di una persona da quello di mille altre, e il sapore di quello umano da quello delle bestie…. In una di quelle vite che risalivano indietro nel tempo…. forse era stata una strega”.
Ecco quindi subito che piani temporali diversi hanno punti di unione e si passano segni, ricordi, esistenze. E presto vedremo che tutta la storia, in particolare quella di Maura, manche quella di Ursula, vive di questi sfasamenti, non come flashback, ma come momenti paralleli o contigui. Così dalla primavera del 2019 si finisce nell’autunno 1905, i giorni in cui Albert Einstein formulò la teoria della relatività ristretta, da cui si deduce che ”anche il tempo è relativo. Perché dipende dalla velocità con cui è misurato”, insomma ”muta a seconda di come ci si muove”.
E’ per questo, perché basta saperla sentire, che c’è una continuità nella storia anche dei luoghi e della villa in questione, che si popola di rumori inquietanti, di scricchiolii, passetti che si odono dentro le sue mura. E Maura, come un diapason, finisce per risuonare di quel che nel posto c’è ancora di vivo della sua antica collega Pasqua. Così, quel che le capita di meraviglioso e inquietante e che pare qualcosa di reale così come lo racconta la Vinci, potrebbe anche sospettare sia di quella solidissima realtà di cui son fatti i nostri fantasmi interiori, il nostro inconscio. Una narrazione quindi che, se non si accetta questa dimensione, può lasciare perplessi in un susseguirsi di ombre e presenze composte di cose vere, della villa, del suo grande parco, di oggetti (compresa una tuba che fu di Verdi) rinvenuti negli armadi o in soffitte, ma anche di tutti i desideri, le idee, i progetti che chi vi visse ha fatto e perseguito.
Un romanzo particolare, inusuale, con una scrittura fatta di scarti, di passaggi da parole o pensieri o azioni di uno a quelli di un altro personaggio, racconto sottile e inquieto che avvolge chi non lo rifiuta, chi sa anche per esperienza personale quanto peso abbiano gli atti mancati e che spesso proprio in quelli, e nel rapporto che hanno con ciò che invece è stato, si può ritrovare il senso e l’anima, il mistero di un’esistenza. ”Il mistero è qualcosa che può essere messo in scena, in parole, in musica, indagato e poi mescolato all’immaginazione, perché questo fa la letteratura – ha spiegato a suo tempo l’autrice, parlando di questo suo libro – cerca nuclei di verità falsificando, e di certo qualcosa rivela, ma non spiega”. (ANSA).